Brunetto Latini

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Brunetto Latini (1220 ca.-1294) rivela una forte spinta didascalica in tutte le sue opere, tanto ricche di dottrina da procurargli presso i suoi stessi contemporanei la fama e l’appellativo di «maestro». Notaio, di parte guelfa, viene condannato all’esilio dopo la battaglia di Montaperti (1260), vinta dai ghibellini. Ripara allora in Francia dove esercita la professione per sei anni. A Firenze rientra nel 1266, dopo la sconfitta di Manfredi e del ghibellinismo a Benevento, e vi ricopre diversi incarichi pubblici. Brunetto svolge una poliedrica attività di scrittore, in francese e in italiano. Il suo testo piú noto in francese è Li livres dou Trésor (I libri del Tesoro), in lingua d’oïl. È una enciclopedia in prosa in tre libri, che raccoglie una vastissima serie di cognizioni. Spazia dalle scienze naturali alla matematica, dall’economia alla politica, si occupa di filosofia e di morale, di retorica, di grammatica e di teologia. Le fonti di un cosí largo sapere sono le piú varie: scrittori d’epoca classica, come Cicerone e Orazio, si affiancano ai filosofi, tra i quali Aristotele e Severino Boezio [ Severino Boezio ]. L’autore fa spesso riferimento anche ai testi sacri, quali l’Antico e il Nuovo Testamento. Il taglio del Trésor è coerente, per molti aspetti, alla concezione della cultura propria del Medioevo. Esso tende infatti a dominare e a concentrare in un unico testo generale nozioni antiche e moderne, e non si cura di esaminare in prospettiva critica le opinioni consolidatesi attraverso la tradizione. Ha inoltre dichiarati intenti didattici. Tuttavia, in Brunetto Latini si trovano tratti di novità e originalità. I suoi interessi e la sua cultura sono spiccatamente laici, e l’insegnamento ha finalità pratiche, ben visibili, ad esempio, nelle norme che egli detta ai governanti perché agiscano rettamente e in nome della pubblica utilità. Analoghe osservazioni valgono per le opere in poesia, Il favolello e Il tesoretto. La prima è un’epistola in versi dedicata a Rustico di Filippo. Ha per argomento l’amicizia, già motivo di riflessione per gli scrittori classici. La seconda è una versificazione in volgare italiano del Trésor. È la storia, basata su un sottile spunto autobiografico, di un viaggio allegorico. Brunetto, accompagnato dalla Natura personificata, entra nel regno delle Virtú, che gli danno indicazioni per un retto comportamento morale e sociale; poi s’imbatte in Amore e nelle sue insidie (anch’esse personificate), e grazie al poeta Ovidio riesce a evitarle. Incontra poi Tolomeo, e a quest’altezza il racconto si interrompe. La materia è affine, come s’è detto, a quella dell’opera maggiore. Il tesoretto non ha grandi pregi poetici, ma è una interessante testimonianza, per il lettore moderno, riguardo alla fisionomia della cultura e al carattere dei rapporti sociali nell’ambito della civiltà comunale. Brunetto Latini ha anche buone qualità di traduttore dal latino e padronanza del volgare in prosa, come testimoniano i volgarizzamenti di tre orazioni di Cicerone (Pro Ligario [Difesa di Ligario], Pro Marcello [Difesa di Marcello], Pro rege Deiotaro [Difesa del re Deiotaro]) e la traduzione commentata di 17 libri del De inventione (Dell’invenzione), ancora di Cicerone, contenuta nella Rettorica. La rettorica è destinata a insegnare le norme del «bel parlare» e del «bello scrivere», rendendo adatte ai tempi le regole dell’oratoria classica. Il Latini commenta il testo via via che lo traduce, aggiungendovi esempi tratti da testi di retorica medievale, e pone la massima cura nel rendere chiare le sue spiegazioni. Non si tratta solo di una mentalità da letterato, ma anche dell’espressione di un’alta tensione morale: egli, infatti, ritiene che il bel parlare sia il fondamento di un retto e pacifico vivere civile. Brunetto, vale la pena di ricordarlo, è il protagonista di uno degli episodi piú toccanti dell’Inferno di Dante (XV canto), in cui viene ricordata la sua «cara e buona imagine paterna». Lo stesso Dante, però, lo critica come letterato, rimproverandogli di aver scritto rime «non curialia, sed municipalia tantum».