La Vita nuova

  Stampa la pagina  
Composta in due fasi, la Vita nuova raccoglie un gruppo di rime giovanili – databili tra il 1283 e il 1293 – dedicate all’esaltazione di Beatrice e alla rievocazione degli anni in cui nacque e si consolidò l’amore del poeta per lei. Sono 25 sonetti, 4 canzoni, 1 ballata, 1 stanza di canzone, inseriti in un testo in prosa, formato di 42 capitoli e redatto in una fase successiva (forse nel 1293, primi mesi del 1294), che ha il compito di costruire una «trama» intorno al succedersi delle poesie e insieme di offrirne un commento. Inoltre, quasi tutte le rime sono analizzate e scomposte in modo da metterne in luce i temi principali. Dante seguirà un criterio analogo anche per le canzoni del Convivio. Nelle rime che precedono la morte di Beatrice, la scomposizione segue il testo in poesia; in quelle posteriori, lo precede.

Il racconto contiene spunti di vita reale, ma ogni elemento concreto viene interpretato dall’autore in una luce spirituale e trasfigurato in una sorta di autobiografia ideale, che ha come fulcro l’amore per Beatrice.

Dopo averla incontrata per la prima volta a nove anni, Dante la rivede nove anni dopo ed ella gli rivolge un saluto che lo lascia turbato. Altri episodi si susseguono: tra questi, l’amore simulato per due «donne-schermo», con cui il poeta intende sviare i curiosi e i maligni (come voleva l’uso «cortese»). Beatrice però interpreta male il corteggiamento di Dante verso le altre e gli toglie il suo saluto, che era per lui fonte di beatitudine.

Ne deriva uno stato di angoscia interiore, accresciuto dal «gabbo» (derisione) di cui Dante è fatto oggetto da parte di Beatrice e di altre donne durante una festa di nozze. Il poeta, inquieto, ha un colloquio con alcune donne gentili, e alla fine decide di imprimere un nuovo corso alla sua poesia. D’ora in avanti le rime che scriverà non parleranno più delle sue sofferenze, ma celebreranno solo Beatrice, e non rivolgendosi direttamente a lei, ma alle donne che hanno «intelletto d’amore», cioè che conoscono l’amore per esperienza diretta.

Seguono la scomparsa del padre di Beatrice e una visione, un «fallace immaginare», che preannuncia la morte e l’ascesa in Paradiso della donna amata. Dopo una breve digressione teorica sullo Stilnovo, Dante annuncia con scarne parole la morte di Beatrice e si sofferma ad analizzare il complesso significato simbolico del numero nove, che tante volte ricorre nella vicenda del suo amore. Una «donna gentile», che dimostra compassione per la solitudine di lui, lo induce all’innamoramento. Una visione di Beatrice, però, lo allontana dal «malvagio desiderio», ed egli ritorna all’unico pensiero per la «gentilissima». In suo ricordo compone ancora dei sonetti, ma una nuova visione di Beatrice lo induce a «non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei» (Vita nuova, XLII). Si allude, forse, alla Commedia.

La Vita nuova ha illustri antecedenti, ma è la prima esperienza del suo genere scritta in volgare italiano. Nella tradizione medievale latina e provenzale si hanno esempi di cosiddetto prosimetro, ossia di testi in cui una parte in prosa s’accompagna ad una in poesia. Il modello principale a cui probabilmente Dante si è ispirato è il De consolatione philosophiae, di Severino Boezio: nel Convivio (II, XII, 2) afferma di aver tratto conforto, dopo la morte di Beatrice, da quella lettura come dal Laelius, De amicitia, di Cicerone. Alla composizione, però, non è estraneo l’influsso dei commenti ai classici che Brunetto Latini inserì nella sua Rettorica, e infine quello delle vidas e delle razos dei provenzali.

Una caratteristica evidente della Vita nuova è la fusione tra l’elemento astratto della riflessione, che prende la forma dell’allegoria, e quello concreto, costituito dai dati autobiografici. Ne nasce un’opera che permette di seguire le fasi di un’esperienza di innamoramento, con tutte le reazioni emotive e gli aspetti psicologici che la accompagnano, ma anche di cogliere una fitta trama di rimandi simbolici, attraverso i quali l’autore interpreta e sistema quell’esperienza. La «vita nuova» significa perciò «vita giovanile», ma anche «vita rinnovata» dall’amore. Lo precisa Dante stesso nei celebri versi del Purgatorio, XXIV, 52-54: «I’ mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando», versi tormentatissimi, che rischiano d’essere fraintesi se ci si limita a interpretarli come un’affermazione di spontaneità e sincerità del sentimento. Spontaneità e sincerità ci sono, s’intende, ma non possono essere separate dall’intento di riflettere in forma teorica sulla natura d’amore, sul modo in cui esso nasce e si sviluppa, sugli effetti che provoca. Perciò la «novità» consiste anche nell’arricchimento concettuale, dottrinale, religioso che l’esperienza d’amore reca con sé, e, elemento da non trascurare, nei nuovi mezzi espressivi che essa richiede per essere descritta.

Nelle rime della Vita nuova, Dante si ricollega al modello stilnovistico e, in particolare, all’elaborazione concettuale e stilistica di Guido Cavalcanti. L’influenza del Cavalcanti è più forte in quella parte del libro in cui l’amore si manifesta come dolore, angoscia, e la donna appare irraggiungibile. Il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, uno degli esempi più alti del tema della lode, conserva molti echi dello stile del Cavalcanti, ma segna il distacco dalla sua concezione d’amore.

Altrettanto determinante è l’insegnamento del Guinizzelli, riscontrabile quando Dante vede in Beatrice la donna-angelo, il «miracolo». Nelle rime della lode, infine, nelle quali lo scrittore rifiuta di parlare ancora di se stesso e afferma l’intenzione di lodare la donna amata, anche il Guinizelli è superato. Beatrice diventa colei «che dà la beatitudine» e dispensa la salvezza, quasi a preannunciare il suo ritorno come guida spirituale del poeta nel viaggio ultraterreno della Commedia.

Lo stile dell’opera, nella parte in prosa, è elaborato con cura minuziosa: il frequente ricorso a una scelta serie di figure retoriche le conferisce un ritmo lento, sostenuto, quasi solenne. Tutto concorre a dimostrare che l’autore è ben consapevole di essersi impegnato in un’esperienza assai importante anche sul piano letterario. E, di fatto, la Vita nuova getta le fondamenta della prosa d’arte in volgare.

Nella parte in rima, abbiamo già osservato, resta basilare l’influsso dello Stilnovo, e soprattutto del Cavalcanti: nel lessico come nella metrica, Dante accoglie molte soluzioni che rimandano alle scelte stilistiche dell’amico, anche quando non ne condivide più la concezione pessimistica dell’amore e dei suoi effetti. Ma ogni possibile caratterizzazione di scuola è sintetizzata e superata in una forma espressiva originale, per comprendere la quale lo stesso Dante, come in altri casi, ci suggerisce un’interpretazione. Infatti, in Purgatorio, XXIV, nel già citato colloquio con Bonagiunta, Dante dichiara espressamente la qualità del suo stile: esso è «nuovo», perché si discosta da quello dei poeti precedenti; e «dolce», perché studiato al fine di rappresentare nelle forme retoriche più adeguate la potenza d’Amore.