Filologia umanistica

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La ricerca dei codici dell’antichità classica cominciò a diffondersi tra gli uomini di lettere fino dal XIV secolo: questa attività si sviluppò soprattutto in funzione di una rilettura piú attenta e scrupolosa degli auctores, con lo scopo di salvaguardare un ricchissimo patrimonio culturale e di correggere i codici antichi dalle alterazioni e dalle lacune che gli amanuensi avevano depositato sui testi. Si trattava quindi di compiere un lavoro di emendazione e di commento, di riordino e di controllo, non soltanto di tipo tecnico ma anche storico e culturale piú generale. Già in epoca medievale si era posta la necessità di giungere a una lezione corretta dei testi, in particolare di quelli sacri: tra il 1140 e il 1145 il monaco cistercense Nicola Maniacutia aveva composto un vero e proprio manuale di critica testuale, il Liber de corruptione et correctione Psalmorum, in cui si definivano i contenuti e le modalità per una corretta interpretazione dei Salmi. L’attività filologica finalizzata ai testi letterari, storici e filosofici si allargò, nel XIII secolo, a una cerchia piú consistente di letterati, soprattutto in ambito padovano e veronese, con Lovato Lovati (1241-1309), Zambono di Andrea, Albertino Mussato (1261-1329) e Guglielmo da Pastrengo (1290 ca.-1363), autore, quest’ultimo, di un De scripturis virorum illustrium che dimostra la conoscenza delle opere di san Girolamo e sant’Ambrogio, Virgilio, Ovidio, Orazio, Lucano, Stazio, Persio, Giovenale e molti altri autori della classicità. Ma è con Petrarca e Boccaccio che lo studio degli antichi diviene una pratica sistematica di confronto culturale e di recupero testuale. Nel corso dei suoi numerosi viaggi, Petrarca ebbe modo di esplorare biblioteche monastiche e archivi, di scoprire e ricopiare importanti codici che andarono a costituire la sua ricca biblioteca. L’oggetto principale di queste ricerche furono le opere di Cicerone, le cui lettere Ad Atticum, Ad Brutum et ad Quintum fratrem e alcune orazioni furono trascritte da un codice della Biblioteca Capitolare di Verona. Le prime scoperte ciceroniane di Petrarca avvennero tuttavia a Liegi, nel 1333, con l’orazione Pro Archia e quella apocrifa Ad Equites Romanos, che egli ritenne pure opera dello stesso Cicerone. Al Boccaccio sono invece attribuiti interessanti ritrovamenti di opere di Marziale, Ausonio e Tacito, anche se la sua attività in questo settore è in generale inferiore a quella di Petrarca. Comunque, nella biblioteca di Montecassino Boccaccio ritrovò un codice (ora alla Biblioteca Medicea Laurenziana, LI, 10) contenente la Pro Cluentio di Cicerone e il De lingua latina di Varrone, la Rhetorica ad Herennium, scoperte che avvennero forse con l’aiuto di Zanobi da Strada. A questa attività si affiancò un frenetico lavoro di raccolta di autori classici e medievali nel celebre Zibaldone Magliabechiano, e di compilazione e restauro di opere di Apuleio, Stazio, Terenzio e altri. Le ricerche e le trascrizioni proseguirono senza interruzioni nell’età di Coluccio Salutati (1331-1406): al cancelliere della repubblica fiorentina si devono le Epistulae ad Familiares di Cicerone (che fece trascrivere integralmente nel 1392 da un codice della Biblioteca Capitolare di Vercelli, e oggi nella Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze, ms. Laur., 49.9) e il piú antico manoscritto di Tibullo (oggi all’Ambrosiana di Milano, Ambr. R 26 sup.). La sua ricca biblioteca doveva contenere circa ottocento volumi, una parte dei quali confluì tra i libri di un altro noto umanista fiorentino, Niccolò Niccoli. Ancora agli inizi del Quattrocento si collocano le ricerche di Poggio Bracciolini (1380-1459), protagonista di alcuni eccezionali ritrovamenti. In occasione del Concilio di Costanza (1414), al seguito del papa Giovanni XXIII in qualità di segretario apostolico, Poggio individuò e trascrisse, presso il monastero di San Gallo, un codice integrale delle Institutiones oratoriae di Quintiliano, le Argonautiche di Valerio Flacco e i commenti a otto orazioni ciceroniane di Asconio Pediano. La vicenda destò grande scalpore e entusiasmo, e venne annunciata in alcune lettere agli amici fiorentini (Leonardo Bruni, Niccolò Niccoli) e a Guarino Guarini (il 15 dicembre 1416). Le esplorazioni di Poggio proseguirono anche negli anni seguenti: nel 1417, ancora a San Gallo, scoprì l’Epitoma di Vegezio, mentre nel monastero di Fulda rinvenne il De rerum natura di Lucrezio, gli Astronomicon libri di Manilio, i Punica di Silio Italico, le Historiae di Ammiano Marcellino, il De re coquinaria di Apicio. L’interesse verso le opere retoriche di Cicerone venne ridestato, in questi anni, dal ritrovamento nella biblioteca della cattedrale di Lodi dei testi completi del De oratore, dell’Orator, del Brutus e del De optimo genere oratorum ad opera del vescovo Gherardo Landriani (Biblioteca Apostolica Vaticana, codice Ottob. lat. 2057).  Nell’Italia settentrionale operò attivamente Guarino Guarini (1374-1460), che a Verona trascrisse le lettere di Plinio da un codice, oggi perduto, che è ritenuto l’archetipo della famiglia degli otto libri pliniani. Tuttavia, la scoperta piú importate dopo quelle di Poggio, si ebbe grazie a Nicola Cusano (1400 ca.-1464) che nel 1426, su incarico del cardinale Giordano Orsini, rinvenne nella biblioteca del Duomo di Colonia un codice di Plauto (il Vaticano Latino 3870) contenente sedici commedie, dodici delle quali allora sconosciute. Il codice giunse in Italia alcuni anni piú tardi, come si deduce da una lettera di Poggio Bracciolini a Niccolò Niccoli del 27 ottobre 1429. Altre scoperte del Cusano furono le Suasoriae e le Controversiae di Seneca il Vecchio, la Germania e l’Agricola di Cornelio Tacito, il De grammaticis et rhetoribus di Svetonio. Un discorso a parte meritano le opere dei classici greci. Il merito di avere iniziato una vera e propria diffusione di questi testi spetta al dotto greco Manuele Crisolora (1370 ca.-1414), che fu invitato in Italia nel 1397 da Iacopo Angeli da Scarperia. Il Crisolora insegnò presso lo studio fiorentino portando dall’Oriente numerosi codici e approntando importanti traduzioni, sostenuto in questa attività dai suoi allievi Roberto Rossi, Leonardo Bruni e Palla Strozzi. Nella prima metà del Quattrocento, Giovanni Aurispa (1376-1459), in seguito a due viaggi in Oriente, fece affluire in Italia importanti codici di Sofocle, Tucidide ed Euripide, e quindi di Platone, Aristotele, Plutarco, Senofonte.