La poesia religiosa

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L’intensità dell’ispirazione religiosa è un dato costante che percorre tutta la cultura del XIII secolo, unificando nel suo segno le manifestazioni piú diverse, compresa quella comico-realista che deduce la sua polemica anticlericale dalla rivendicazione di una piú fedele e coerente applicazione dei valori evangelici. In senso lato, dunque, tutta la letteratura del Duecento si può definire «religiosa», tesa cioè, in modi piú o meno espliciti, ad affermare una spiritualità che, uscita dai recinti della contemplazione e della meditazione solitaria, si lancia con decisione alla conquista (o alla riconquista) di un mondo laico in sempre piú rapida evoluzione. In quest’opera di evangelizzazione di una tumultuosa realtà in cui si dovevano fare i conti con le crescenti spinte in senso scettico e materialista della borghesia mercantile da un lato, e con le eresie pauperistiche che attraevano larghi strati popolari dall’altro, spiccarono in prima fila gli Ordini mendicanti, francescani e domenicani, che consapevolmente vollero utilizzare per la loro battaglia anche le armi della cultura. Non è casuale dunque che uno dei primi testi poetici in volgare italiano sia proprio un testo francescano, il Cantico delle Creature, e che francescano sia anche uno dei massimi poeti del secolo, Jacopone da Todi (ma alla letteratura francescana fecero riferimento anche autori di formazione non propriamente religiosa, come Guittone d’Arezzo e Bonvesin de la Riva). Meno presenti sul fronte della produzione in volgare furono invece i domenicani, che preferirono coltivare una vocazione teologica e dottrinaria che trovava nel latino la sua lingua naturale. Accanto agli Ordini mendicanti, ma ad essi collegati da molteplici relazioni ideali e materiali, sorgono poi nel corso del Duecento movimenti di massa come quelli dell’alleluja (1233 ca) e dei disciplinati o flagellanti (1260-1261), ai quali si deve una ricca fioritura di testi religiosi, le laude. Da un punto di vista dei valori letterari, tutta questa produzione, pur nelle reciproche e talvolta rilevanti differenze, è unificata da caratteri linguistici sostanzialmente analoghi, consistenti in una forte patina dialettale (in prevalenza umbra, dal momento che proprio l’Umbria fu l’epicentro di questa esperienza spirituale e culturale) e in una marcata tendenza al recupero in senso mistico di strumenti espressivi e di tecniche propri della poesia profana, dalle forme metriche alle convenzioni retoriche e stilistiche. Questo significa, in altre parole, che le impressioni di ingenuità e talvolta di rozzezza suscitate da questi testi nascono in realtà dalla sapiente rielaborazione di una tradizione colta che, soprattutto nel caso di san Francesco e di Jacopone da Todi, era condannata in linea di principio ma ben padroneggiata nei fatti. Anche nel caso della letteratura religiosa, dunque, la suggestiva ipotesi di una elaborazione spontanea e popolare dei nostri testi delle origini risulta in gran parte infondata, e una corretta analisi critica ci conduce ancora una volta a riconoscere il ruolo fondamentale che ebbero nella nascita della letteratura italiana da un lato la tradizione classica e dall’altro i modelli franco-provenzali.