Letteratura in lingua d'oc

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La letteratura in lingua d’oc è composta prevalentemente di opere in poesia. Essa si sviluppa nelle zone della Francia meridionale: Provenza, Aquitania, Limosino, Alvernia, ed avrà una profonda influenza sulla poesia lirica italiana. In lingua d’oc scrivono infatti direttamente alcuni trovatori (il termine equivale a «poeta») italiani. Inoltre temi e soluzioni stilistiche provenzali si trasmettono alle scuole poetiche siciliana e stilnovistica, per giungere fino al Petrarca. Le corti feudali, centri di un munifico mecenatismo, sono le sedi privilegiate della lirica trobadorica, che per questo è detta anche «poesia cortese»: addirittura si ritiene che il primo poeta cortese sia stato proprio un feudatario, Guglielmo IX, duca d’Aquitania (1071-1126 o 1127). La lirica cortese ha prevalentemente carattere amoroso, ma trae modelli di comportamento e di linguaggio dall’ambiente feudale. Il poeta è un «vassallo» che si sottomette alla donna amata, la serve e attende da lei il beneficio. I suoi ideali sono ancora la fedeltà, il coraggio, l’eroismo, ma altra diventa la loro destinazione: il poeta si consacra alla dama, la onora e le è devoto fino al sacrificio. Questo sentimento abbraccia ogni aspetto della sua personalità, lo coinvolge profondamente e si traduce in un continuo impegno a migliorare se stesso. In tal modo il poeta ingentilisce il suo animo e lo guida verso la conquista della perfezione morale. I princípi di questa concezione dell’amore sono tanto precisi che si trovano definiti in veri e propri trattati (come il De Amore del francese Andrea Cappellano): l’amore può vivere solo in animi nobili, esenti da meschinità o vizi, e deve restare «segreto»; l’innamorato ha il dovere di nasconderlo, di «schermarlo», cosí l’identità della donna viene celata con un nome fittizio (il cosiddetto senhal); il matrimonio è inconciliabile con l’amore, che si nutre di ostacoli e riceve maggior forza dall’impossibilità di possedere la donna amata. Su questi motivi di fondo si sviluppa una vastissima gamma di ramificazioni tematiche e formali. Alla lode della donna e alle riflessioni del poeta sui propri turbamenti amorosi si accompagna l’uso metaforico del linguaggio feudale, l’insistenza su allusioni oscure, che rivelano l’identità dell’amata solo a chi è in grado di decifrarle. I trovatori appartengono a ceti diversi, ma la comunanza di vita nella corte e i riconoscimenti ottenuti grazie alla fama poetica finiscono col minimizzare le differenze dovute alla nascita, creando una specie di integrazione sociale. Lo stile della poesia trobadorica mostra un sorprendente livello di raffinatezza: è evidente la capacità di dominare la materia narrata, ricorrendo alle piú ardite sperimentazioni linguistiche e retoriche. Esse, talvolta, si arricchiscono di tali rimandi e sottintesi che la lettura e la comprensione immediata del testo diventano ardue: si parla allora di trobar clus («poetare oscuro, chiuso»), in opposizione al trobar leu («poetare chiaro, aperto»). La produzione cortese è ricchissima, e non è esclusivamente maschile: si contano infatti almeno diciassette poetesse in lingua d’oc. Risultati di altissimo valore poetico furono conseguiti, tra gli altri, da Bernart de Ventadorn, Jaufré Rudel, Arnaut Daniel e Bertran de Born (gli ultimi due ricordati anche da Dante). In loro, l’abilità formale giunge ad una straordinaria perfezione tecnica, grazie alla quale lo schematismo delle situazioni passa in secondo piano, e il riferimento al rituale di vassallaggio perde di concretezza e si trasforma in uno spunto per raffinate sperimentazioni di stile. L’amore non è il tema esclusivo trattato dai provenzali; ad esso si aggiungono motivi di ispirazione politica e civile, spunti di satira, piú raramente temi religiosi. Dalla Provenza, la lirica trobadorica si diffonde soprattutto in Spagna e in Italia, dove poetano in provenzale autori come il genovese Lanfranco Cigala e il mantovano Sordello. Ma gli argomenti e le tecniche di derivazione provenzale raggiungono anche l’area germanica, dove si sviluppa il movimento definito Minnesang (da Minne, «amore ideale», e Sang, «canto»), tra i cui rappresentanti si ricorda Walther von der Vogelweide (1170 ca-1230 ca).