Firenze nella seconda metà del Duecento

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1260 Battaglia di Montaperti. Siena ghibellina sconfigge Firenze, sempre piú divisa tra i partiti guelfo e ghibellino. La città subisce un contraccolpo politico e economico gravissimo, a vantaggio delle altre città toscane, in primo luogo Siena e Pisa, città ghibelline. Il partito guelfo fiorentino, anche sulla scorta del decennio precedente, tende a identificarsi con le classi popolari e con uno spirito apertamente patriottico.
1266 Dal 1263 papa Urbano IV dichiara fuorilegge i mercanti delle principali città ghibelline, tra cui Siena e Firenze. Nel 1266 Carlo I d’Angiò, che il papa ha già investito della carica di re di Sicilia, è chiamato in Italia contro Manfredi, capo prestigioso del partito ghibellino. Nella battaglia di Benevento, Manfredi viene sconfitto e ucciso. A Firenze tornano al potere i guelfi. Viene restaurata la carica di Capitano del Popolo, simbolo del guelfismo democratico. Nel 1267 Carlo d’Angiò viene nominato «paciarus generalis» per la Toscana e quindi podestà di Firenze. Nello stesso anno scende in Italia Corradino di Svevia rivendicando per sé il regno di Sicilia, ma è sconfitto a Tagliacozzo (1268). Cadono le ultime speranze ghibelline: Siena viene sconfitta dai fiorentini nella battaglia di Colle val d’Elsa. Il 1270 è l’anno in cui il guelfismo toscano trionfa in molte città, tra cui Pisa.
1280 Nel decennio 1270-80 la situazione in Toscana non offre spunti per una pacificazione tra le parti, nonostante l’impegno del nuovo papa Gregorio X, che cerca un accordo con Carlo d’Angiò (1273). Ma è il successore di Gregorio X, il papa Niccolò III Orsini, a tentare la carta della mediazione, avvalendosi del cardinale Latino Malabranca. A Firenze viene stipulata una pace tra le due fazioni, accordo che consente ad alcune famiglie ghibelline di rientrare in città. Il governo cosiddetto dei «Quattordici» frena lo strapotere del ceto magnatizio, responsabile dei disordini interni: i rappresentanti delle arti minori restano tuttavia fuori dai giochi politici.
1282-1289 A Palermo scoppia la rivolta dei Vespri siciliani contro Carlo d’Angiò. A Firenze riprendono vigore le speranze dei ghibellini: con il supporto delle classi medie e popolari viene istituita la magistratura dei Priori (dapprima in numero di 3, poi di 6, quindi di 12) da affiancare al governo debole dei «Quattordici». La carica del priorato ha la durata di due mesi e possono accedervi soltanto coloro che sono iscritti alle arti maggiori. Viene istituita la figura del gonfaloniere di giustizia, «difensore delle arti e degli artefici». A partire dall’87 si verifica un’apertura ai rappresentanti delle arti minori. Cresce invece la tensione con Arezzo, sfociata nella battaglia di Campaldino (1289), in cui combatte anche il giovane Dante e che si conclude con la vittoria dei fiorentini.
1293 Per iniziativa del priore Giano della Bella, un ricco mercante piú vicino ai popolani che al ceto magnatizio, sono promulgati gli «Ordinamenti di Giustizia», che escludono di fatto i magnati e i non iscritti alle Arti dalle alte cariche pubbliche. Mentre tramonta l’astro di Giano della Bella (1295), sale invece altissima la rivalità tra le grandi famiglie escluse dal potere. Spicca tra queste la figura di Corso Donati, sinistra e violenta figura a capo di un casato di antico lignaggio, ora nemico dei nuovi ricchi, la famiglia di Vieri dei Cerchi, appunto. Prendendo spunto dalle lotte interne dei guelfi pistoiesi, anche a Firenze venne adottata una uguale distinzione: attorno ai Donati si riunisce la fazione dei Neri, sostenuta dal nuovo papa Bonifacio VIII, mentre i Cerchi coagulano le iniziative dei Bianchi filo-ghibellini. Per un certo periodo, nel 1296, sembra vicino un rientro di Giano della Bella, acclamato dal popolo ma inviso al papa.
1296 Si delinea con maggiore chiarezza il ruolo di Bonifacio VIII che, nella sua battaglia personale contro la potente famiglia romana dei Colonna, cerca un’alleanza con i grandi banchieri fiorentini e quindi sostiene, oramai in maniera aperta, la causa dei Neri. Nel ‘98 si verificano altri violenti scontri tra le due fazioni opposte, nelle quali Corso Donati, con la connivenza del podestà Monfiorito da Coderta, ha un ruolo di primo piano come responsabile dei tumulti. 1299 Bonifacio VIII inizia le trattative con il re di Francia, Filippo il Bello, per favorire l’intervento in Italia del fratello Carlo di Valois, con il pretesto di riottenere il dominio nel regno di Sicilia: ma il vero obbiettivo è quello di sgominare il potere ghibellino in Italia, e a Firenze in particolare. I Cerchi si alleano nel frattempo con i ghibellini del contado, ma la loro posizione si sta indebolendo.
1300 È un anno decisivo per le sorti di Firenze. In maggio si verificano violenti scontri tra i Donati e i Cerchi sul ponte di Santa Trinita, ma la tensione è ormai altissima. Bonifacio VIII invia a Firenze un suo legato, il cardinale Matteo d’Acquasparta, in qualità di mediatore. I priori eseguono intanto alcune condanne al confino, sia per l’una che per l’altra parte: è colpito dal bando anche Guido Cavalcanti. Il cardinale propone un nuovo procedimento per l’elezione dei priori con lo scopo di favorire i Neri. Vista la situazione, i priori stringono un’alleanza con il comune guelfo di Bologna. In settembre, fallita la mediazione di Matteo d’Acquasparta, il cardinale abbandona la città con la scomunica sui suoi governanti.
1301

Dopo alcune rappresaglie contro i Neri, che producono un nuovo inasprimento nei rapporti con il papa, Carlo di Valois, fino ad allora di stanza alle porte di Arezzo, entra a Firenze (1 novembre) rovesciando il potere a favore dei Neri. Resisterà invece, per piú di quattro anni, la vicina Pistoia. Corso Donati, rientrato in città, capeggia la rivolta e i saccheggi contro i nemici. I priori, tra questi Dino Compagni, non possono fare nulla per opporsi e anzi si dimettono, lasciando aperto il campo al nuovo podestà Cante de’ Gabrielli, designato dal papa. Dante, in ottobre, si trova a Roma per un’ambasceria presso il papa e qui apprende la notizia dell’avvenuto colpo di stato a Firenze.

1302-1304 Si susseguono le condanne contro i Bianchi, e lo stesso Dante, in gennaio, è inquisito dal podestà con l’accusa di baratteria, concussione, opposizione al papa e a Carlo di Valois. Mentre si trova in missione diplomatica, forse a Siena o a Roma, viene condannato al pagamento di 5000 fiorini, a due anni di confino e all’interdizione dai pubblici uffici. Nel frattempo muore il papa Bonifacio VIII (1303). I Bianchi tentano di riorganizzare le fila a San Godenzo, senza peraltro essere in grado di organizzare una valida offensiva. Si stringono rapporti tra varie città toscane e romagnole: Bologna, Pistoia, Forlí (sotto la spinta di Scarpetta degli Ordelaffi), Faenza, Imola, Ravenna, Cesena. I fuorusciti Bianchi cercano di approfittare della momentanea assenza di Corso Donati, in missione dal papa a Perugia, ma nel tentativo di rientrare in città vengono sconfitti alla Lastra, vicino Firenze sulla via bolognese (1304).
1305-1306 È eletto papa un francese, con il nome di Clemente V (1305): la corte papale viene trasferita in Francia a Avignone sotto il controllo degli Angioini. Cade Pistoia, ultimo baluardo dei Bianchi (1306).
1308

Dopo che i disordini interni non accennano a diminuire, Corso Donati tenta, con l’aiuto degli aretini e del suocero Uguccione della Faggiuola, di ottenere la signoria di Firenze ma viene sconfitto da Rosso della Tosa e ucciso. Nello stesso anno muore Carlo II d’Angiò, a cui succede il figlio Roberto, il re da sermone, come scrive Dante (Paradiso, VIII, 147). Viene incoronato «Re dei Romani» Enrico VII di Lussemburgo (1309).

1310 Enrico VII scende in Italia. Si delinea il conflitto tra Roberto d’Angiò e Enrico VII, ma quest’ultimo muore improvvisamente nel 1313 mentre Firenze conferisce al primo la signoria della città.