Dai Comuni alle Signorie Stampa la pagina << indietro

L’Italia attraversa nel Trecento una profonda crisi economica. Il ristagno determina il fallimento di alcune illustri compagnie mercantili e bancarie, come quelle dei Peruzzi, dei Frescobaldi, degli Acciaiuoli e dei Bardi (presso quest’ultima lavorava il padre del Boccaccio) e una generale decadenza della borghesia mercantile e finanziaria, che cerca nuove fonti di reddito negli investimenti terrieri, nei quali vede possibilità forse minori, ma piú sicure. Cosí, a poco a poco, mercanti e banchieri si trasformano in latifondisti, affiancandosi e assorbendo un’aristocrazia terriera di formazione feudale, ormai quasi spenta. 

I Comuni sono sempre piú lacerati dai conflitti sociali e dalle lotte intestine tra le fazioni, che rendono piú rapida la crisi, già cominciata negli ultimi decenni del secolo precedente, nel corso della quale gli organismi comunali si sfaldano, lasciando il posto ad una nuova forma di governo, la Signoria. È questo un sistema politico destinato a diffondersi e ad imporsi definitivamente nel Quattrocento. 

La nascita della Signoria è agevolata dall’esigenza di riportare ordine nelle città, dove l’inasprimento dei contrasti di parte e le pressanti rivendicazioni sociali dei ceti meno abbienti determinano uno stato di continua e forte tensione. Ne approfittano intraprendenti signorotti locali, per imporre il loro potere su una città e spesso su un’intera regione, e per prendere le redini del governo, abolendo o mantenendo solo formalmente gli ordinamenti comunali. 

Va ricordato, inoltre, che una delle caratteristiche delle Signorie è lo stato di guerra permanente, provocato dall’ambizione dei Signori di espandere il proprio territorio ai danni di altri Signori o dei Comuni che ancora resistono alla loro avanzata. 

L’affermazione delle Signorie determina in Italia un nuovo assetto che si definisce particolarismo, ovvero quel frazionamento politico che, alla lunga, causerà la cronica debolezza della penisola, incapace di costituirsi in uno Stato unitario e di opporsi all’intervento delle forti potenze straniere. 

Il Comune di Firenze resiste all’affermazione della Signoria per un periodo piú lungo delle altre città del Centro e del Nord, riuscendo ad arginare la crisi delle sue istituzioni. Ma ciò non avviene senza profondi travagli. In un primo momento, si cerca di salvaguardare le libertà comunali allargando il governo al popolo minuto; poi, la tragica rivolta dei Ciompi (1378) lascia nei gruppi signorili una grande paura, per cui vengono ridotti gli spazi per la partecipazione popolare al governo della città e il potere si concentra nelle mani di una sempre piú ristretta oligarchia, che, verso la metà del secolo successivo, dovrà capitolare di fronte alla supremazia dei Medici.

Nel Meridione, svanito il sogno di costituire uno Stato unitario come quello di Federico II, la pace di Caltabellotta (1302) sancisce la separazione della Sicilia, che passa agli Aragonesi, dal resto del Regno, che rimane agli Angioini. Il potere centrale, che in Europa sta rafforzandosi, qui si indebolisce ad opera e a tutto vantaggio delle strutture feudali e baronali, le quali ottengono anzi ulteriori acquisizioni di terre e di privilegi. Questa situazione da una parte impedisce la nascita di una borghesia come nel Centro-Nord, dall’altra mantiene ed accentua il carattere cortese dell’ambiente intellettuale napoletano e meridionale.


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Ultimo aggiornamento: venerdì 16 agosto 2013