I primi documenti in volgare italiano

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Quando si può cominciare propriamente a parlare dell’esistenza di un «volgare italiano»? La questione è di estrema complessità, e non è certo possibile pretendere di dare qui una risposta definitiva. Possiamo però fissare alcune coordinate che aiutino quanto meno a stabilire con precisione i termini del problema. In primo luogo, bisogna intendersi su che cosa definiamo con l’espressione «volgare italiano»: se essa indica la presenza organica e consapevole di una lingua letteraria in grado di produrre testi maturi, allora non c’è dubbio che si debba attendere il XIII secolo, con Francesco d’Assisi e la scuola poetica siciliana. Se invece ci si riferisce a una lingua d’uso, a una parlata comune che abbia ormai esplicitamente superato i confini della tradizione latina, bisognerà arretrare notevolmente i termini cronologici: già infatti fra il III e il IV secolo d.C. i documenti disponibili ci mostrano una crisi e un processo di disgregazione del latino classico che fanno intravedere l’emergere delle lingue neolatine. Bisogna peraltro aggiungere che, anche nel pieno dell’età classica, la lingua letteraria latina fu sempre ben distinta da quella popolare e quotidiana: lo stesso termine «classico» nasce dalla radice di «classe», con cui si indicavano i cittadini appartenenti agli ordini sociali superiori, e che quindi parlavano una lingua diversa, più elaborata e colta, rispetto a quella popolare. La nascita del volgare non va vista insomma come una rottura rispetto al latino classico, ma come un processo di evoluzione del latino popolare, che si trasforma in una lingua nuova attraverso mutazioni lente e spesso impercettibili (un interessante esempio è offerto dalla cosiddetta Appendix Probi, con cui apriamo le pagine antologiche). Essendo questa la natura del fenomeno, ne deriva una pratica impossibilità di determinarne con precisione i limiti cronologici. Possiamo tuttavia affermare con sicurezza che il volgare italiano era già di uso corrente fra il X e l’XI secolo in documenti di carattere giuridico, ecclesiastico e mercantile, ossia in quegli ambiti nei quali era necessario che il contenuto del testo fosse compreso anche dagli illetterati che avevano ormai perduto ogni familiarità con il latino (contratti, testamenti, formule legali, transazioni commerciali, professioni di fede, ecc.). Al secolo successivo, il XII, risalgono i primi esempi di volgare definibile in senso lato «letterario», svincolato da precise finalità pratiche e rispettoso invece di obblighi ritmici, metrici e fonetici. Si tratta di testi giullareschi, composti cioè da cantastorie e poeti di corte o di piazza in un linguaggio fortemente impregnato di forme dialettali, latinismi, francesismi, e quindi ancora lontano da una fisionomia coerente e unitaria.