Premessa

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La complessa vicenda letteraria di Petrarca apre un varco tra le resistenze della cultura Scolastica trecentesca: raccogliendo l’eredità dantesca, in realtà assai piú consistente di quanto lo stesso Petrarca volesse dare ad intendere, la scrittura poetica dell’artista diviene l’espressione di una professionalità e di un mestiere che già anticipano gli studia humanitatis del Quattrocento italiano. Se Dante ha rappresentato nell’età sua il prototipo dell’intellettuale esiliato, sebbene engagé attraverso la difesa di una sostanza morale e politica della letteratura, per un altro verso la posizione di Petrarca si definisce nella scelta di una progressiva autonomia e disimpegno dalle cause civili e ideologiche: istituisce non pochi contatti con il mondo della cultura ufficiale e accademica (anche se rifiuta di continuare gli studi giuridici all’università di Bologna) dove stringe importanti amicizie con Giacomo Colonna e Guido Sette; frequenta fino dal suo ritorno da Bologna (1326) la corte pontificia di Avignone, e prende gli ordini minori con la garanzia di usufruire di benefici ecclesiastici, rendite e canonicati: una condizione che lo pone a metà strada tra il clericus e l’intellettuale laico, ma che indubbiamente gli conferisce agiatezza economica, prestigio sociale e soprattutto la frequentazione di biblioteche antiche dove esercitare la propria abilità di studioso. Il riconoscimento pubblico e ufficiale nel 1341 quale poeta incoronato con l’alloro letterario conferiva alla personalità petrarchesca una fama e una risonanza nazionali, anche se una buona parte di quella celebrazione (avvenuta in Campidoglio) va attribuita all’influenza e all’appoggio della potente famiglia romana dei Colonna. Nella elaborazione della propria poetica, questo avvenimento significa per Petrarca un punto di svolta: idealmente egli si riallacciava alla tradizione classica, non solo nei generi letterari (al 1338-39 risale una prima stesura dell’Africa, il poema in esametri latini sul modello dell’Eneide di Virgilio) ma anche nel modo di atteggiarsi e di presentare la nuova funzione del letterato. A differenza di Dante, che nell’esilio e nella condizione del viaggio vide piuttosto un’imposizione dei tempi e del destino politico avverso, la scelta di Petrarca si orienta fino dall’inizio verso una mondanità raffinata e colta, prima presso la curia pontificia, poi nelle corti dell’Italia settentrionale: in sostanza egli difese un cosmopolitismo intellettuale e letterario, piú che una reale esigenza di impegno politico. Del resto le occupazioni amministrative e diplomatiche che dapprima svolse per conto del cardinale Colonna non gli impedirono di coltivare la poesia, di intraprendere viaggi e soggiorni di studio, di allacciare rapporti epistolari con il mondo della cultura aristocratica. Sulla scorta di quanto già la cultura latina aveva prodotto, Petrarca attribuí all’epistolario una posizione di preminenza all’interno della propria attività: scritte rigorosamente in latino, le epistole vengono ripartite in varie raccolte, con una consapevolezza letteraria che libera il testo dal suo valore privato, comunicativo, per attribuire alla scrittura l’aspetto di un’esecuzione straordinaria ed esclusiva. I modelli a cui fare riferimento vanno da Cicerone a Seneca, entrambi autori di importanti raccolte epistolari. Petrarca compone e ordina le Familiares, le Sine nomine, le Epistole metricae, le Seniles e le Variae con la cura che spetta alle opere maggiori: i contenuti delle lettere variano a seconda della raccolta (le Sine nomine non hanno il destinatario in quanto il loro messaggio contiene invettive politiche e forti accenti polemici), ma sempre emerge l’elemento autobiografico come il dato costante di una ricerca che fa della propria personalità il segno distintivo della scrittura. La famosa Posteritati (scritta nel 1367 e poi riveduta nel ‘70 a pochi anni dalla morte) rientra pienamente in questo disegno autoapologetico e celebrativo della propria opera letteraria e della funzione di uomo di cultura: un atteggiamento di compiacimento e di difesa dei privilegi acquisiti, del prestigio che un pubblico selezionato, anonimo e non presente gli ha via via tributato.