Le forme del Canzoniere

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La piú compiuta analisi sulla composizione dei Rerum vulgarium fragmenta resta ancora oggi quella fornita da Ernest H. Wilkins (1880-1966) nel volume The Making of the «Canzoniere» and Other Petrarchan Studies (Roma, 1951). Lo studioso americano, celebre anche per un’interessante e ben informata Vita del Petrarca (Milano, Feltrinelli, 1964) documentò, sulla base dei manoscritti autografi e delle copie approntate dall’autore in particolari occasioni, la lunga elaborazione delle rime petrarchesche, le tecniche attraverso le quali il poeta giungeva alla collocazione dei testi in quel punto particolare della struttura, i modi e le ragioni delle correzioni effettuate, le modalità della lunga costruzione del testo. La prima stesura avveniva su schedulae, piccoli fogli che poi sarebbero passati al vaglio di ulteriori controlli opportunamente segnalati per mezzo di formule di consenso o disapprovazione («hic placet», «hoc placet quia sonantior», «hic non placet»). Da qui il testo passava in contenitori piú ampio, che Wilkins ha definiti come «fogli di riferimento» o «raccolte di consultazione»: di questo procedimento sono un esempio nel Vat. lat. 3196 le carte 1, 2r (in parte), 3-5, 7-10, 11r e 16. È da queste pagine che Petrarca muove alla ricerca di una sistemazione piú consona alla materia e alle sue esigenze narrative, di volta in volta secondo strategie che si rivelano diverse rispetto alle precedenti e sempre verso un graduale accrescimento e assestamento del materiale. I componimenti aumenteranno cosí fino a raggiungere il numero di 366 (una quantità ovviamente non casuale) e la loro definitiva collocazione, ma dovranno passare attraverso nove «forme», cioè altrettanti «momenti successivi di una singola forma in sviluppo, le cui fasi di crescita corrispondono a certi particolari periodi di intensa attività editoriale».