Le forme Malatesta

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La sesta forma o forma pre-Malatesta

Nell’aprile del 1367 il Malpaghini interruppe improvvisamente (e non sappiamo per quali ragioni) il lavoro di trascrizione: la ricopiatura passò allora direttamente nelle mani di Petrarca che faticosamente e con intervalli frequenti (documentati da variazioni di grafia e di inchiostro) apportò notevoli aggiunte. L’elaborazione di questa sesta forma si protrasse fino al 1372, alla soglie della «forma Malatesta», e incluse complessivamente 238 componimenti per la parte I e 80 nella parte II, cioè i nn. CCLXIV-CCCXXXVIII e CCCLXII-CCCLXVI.

La forma Malatesta

All’amico Pandolfo Malatesta, che aveva fatto al poeta esplicita richiesta, molti anni prima, delle sue liriche volgari, Petrarca inviò il 4 gennaio 1373 una copia del Canzoniere. La struttura di questa ennesima forma è attestata dal manoscritto apografo XLI.17 della Biblioteca Laurenziana di Firenze, cui fa comunque riscontro il Vat. lat. 3195, nel quale le nuove integrazioni sono regolarmente inserite. Oltre ad alcuni spostamenti interni, la forma Malatesta presenta un incremento di 7 liriche nella parte I (i nn. CXXI, CXCIX e CCXXXIX-CCXLIII) e di 5 nella parte II (CCCXXXIX-CCCXLII e CCCXLIV): da notare che qui compare la canzone finale alla Vergine mentre non contiene i sonetti del «presentimento» (CCXLVI-CCLII) ammessi soltanto nell’ultima redazione. La forma Malatesta venne accompagnata da un’importante lettera del poeta (poi inclusa nelle Variae, IX e, con alcune modifiche, nelle Seniles, XIII, 11) in cui egli giustificava le «nugellas meas vulgares», la natura frammentaria dell’opera, la varietà degli argomenti («opuscoli varietatem»), la rozzezza dello stile («ruditatem stili») in quanto frutto dell’età giovanile. Di maggiore interesse è il poscritto nel quale Petrarca lascia intravedere il bisogno di una ulteriore messa a punto del proprio lavoro, utilizzando vecchie schedulae quasi illeggibili e consumate dal tempo. Ed è questa la ragione per cui nella copia inviata al Malatesta il poeta ha lasciato, tra la prima e la seconda parte, ampi spazi bianchi con il solo scopo di contenere le nuove aggiunte. Considerato il rilievo di questa postilla, riproduciamo qui alcune parti della lettera: «Sunt apud me huius generis vulgarium adhuc multa, et vetustissimis schedulis, et sic senio exeis ut vix legi queant. E quibus, si quando unus aut alter dies otiosus affulserit, nunc unum nunc aliud elicere soleo, pro quodam diverticulo laborum; sed perraro, ideoque mandavi quod utriusque in fine bona spatia linquerentur: et si quidquam occurret, mittam tibi reclusum nichilominus in papyro» («Ho ancora presso di me molte altre poesie in volgare di questo genere, trascritte in schede antichissime cosí consumate dall’età che a stento si possono leggere. Dalle quali, nei giorni di ozio, sono solito trarre quasi per mio diletto ora uno ora l’altro questo o quel componimento, ma ciò raramente; per questo ho ordinato di lasciare alla fine ampi spazi bianchi: e se mi capiterà di trascrivere qualcosa, te lo manderò in un foglio a parte»).

I supplementi Malatesta

In effetti un’aggiunta alla forma Malatesta dovette essere preparata non soltanto per tenere fede alla promessa fatta all’amico, e di cui abbiamo visto le anticipazioni nella lettera ora ricordata, ma anche per essere inviata ad altri destinatari di gruppi di liriche, ma di cui non resta traccia. Nello stesso periodo in cui Petrarca stava raccogliendo i testi per quella che sarà l’ottava forma del Canzoniere, la forma Queriniana, egli mise in circolazione un supplemento di liriche che includeva i sonetti del «presentimento» successivi al CCXLV e i componimenti CCCXLIII e CCCXLV-CCCLXI (le cosiddette «ultime rime»).