La biblioteca dell'umanista

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In una delle Familiares (III, 18) Petrarca raccomanda al suo destinatario, l’amico Giovanni dell’Incisa, di procurargli dei libri: la lettera è di estremo interesse per comprendere l’atteggiamento dell’intellettuale umanista: l’amore per il libro, in quanto veicolo fondamentale nell’età in cui andava affermandosi la cultura borghese, si unisce in Petrarca alla competenza tecnica dello scavo filologico collegandosi da un lato alla sua passione di bibliofilo (inexplebilis cupiditas) e dall’altro a un’attività di recupero dei testi classici e a una loro rilettura in chiave critica. «Ma perché tu non mi creda libero da ogni umano difetto, sappi che io sono dominato da una passione insaziabile, che fino ad oggi non ho potuto né voluto frenare, convinto come sono che il desiderio di cose oneste non può essere disonesto. Vuoi tu sapere di che malattia si tratti? non mi sazio mai di libri. Eppure ne ho piú del bisogno; ma accade dei libri come delle altre cose: il riuscire a far danaro è sprone all’avarizia. Anzi, ne’ libri c’è qualcosa di singolare: l’oro, l’argento, le gemme, le vesti di porpora, le case adorne di marmi, i campi ben coltivati, i dipinti, i cavalli ben bardati, e le altre cose di questo genere danno un piacere muto e superficiale; i libri dilettano nel fondo dell’animo, parlano con noi, ci consigliano e con noi si uniscono con viva e vivace familiarità; né solamente ciascuno di essi penetra nell’animo del lettore, ma suggerisce il nome di altri; e l’uno gli dà il desiderio dell’altro. [...] E tu, se davvero mi vuoi bene, a qualcuno dei tuoi colti amici dà quest’incarico: che vadano in cerca per la Toscana, frughino negli scaffali de’ religiosi e degli altri uomini studiosi, se possa uscirne fuori qualcosa che valga non so se ad acquietare o ad acuire la mia sete. Del resto [...] perché tu non t’inganni, aggiungo qui separatamente la nota di quel che maggiormente desidero; e perché tu vi metta piú impegno, sappi ch’io ho fatto la stessa preghiera ad altri amici in Inghilterra, in Francia, in Spagna» (trad. di Enrico Bianchi). La ricostruzione dei titoli che costituivano questa cospicua biblioteca ci fornisce importanti notizie sulla formazione e sulle letture compiute dal poeta. Attraverso la ricopiatura di propria mano di molti codici antichi, soprattutto latini, oppure grazie ad opere che gli vennero donate da amici, intellettuali, autorità politiche, la raccolta superò probabilmente i duecento esemplari e costituí un’autentica eccezione in tutto il XIV secolo. Spiccano i nomi di Aristotele (Politica, Etica libri V, VI, X, i Commentari all’Etica), Platone (Fedone, Timeo), Omero (Iliade, Odissea), Cicerone, Orazio, Seneca (Ad Lucilium, Ad Neronem, De consolatione, De remediis, De tranquillitate animi, le Tragedie) Quintiliano (Instituiones oratoriae), Plinio il Vecchio (Naturalis historia), Curzio Rufo (Historia Alexandri Magni). Tra gli autori della tarda latinità: Lucio A. Floro (Epitome), Marziano Capella (De nuptiis philologiae), Cassiodoro (De anima) e infine le opere della patristica, alcune opere di sant’Agostino, miscellanee di autori latini minori. Il solo testo in volgare che certamente faceva parte di questa raccolta era il codice, donatogli dal Boccaccio, della Commedia, ma è fuori di dubbio che dovevano esserci anche i testi della lirica provenzale e di quella italiana, fino al Decameron. Di straordinaria importanza sono le glosse di mano del poeta rinvenute nel De civitate Dei di sant’Agostino, appartenuto a Cinzio Arlotti e acquistato nel 1325 ad Avignone (ora a Padova nella Biblioteca Universitaria, ms. 1490). Non meno rilevanti sono le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, regalato dal padre Petracco (oggi a Parigi nella Biblioteca Nazionale, Lat. 7595), il codice virgiliano, sul quale il poeta maturò il definitivo contatto con l’epica classica (ora a Milano nella Biblioteca Ambrosiana, S.P. 10/27) Livio (Ab urbe condita), il codice con storie di Livio (Londra, British Library, Harley 2493), il libro, come lo ha definito il Billanovich, «piú complicato nella biblioteca del Petrarca». Un esercizio filologico innestato sul tronco della retorica e appreso durante il soggiorno bolognese, nello studium in cui Petrarca avrebbe dovuto dedicarsi al diritto e dove invece approfondí, sotto la guida di Giovanni del Virgilio, la conoscenza dei classici. Tramonta, con la biblioteca del Petrarca, un’idea conservativa del patrimonio librario, tipica della cultura ecclesiastica, e si afferma il progetto di una civiltà enciclopedica laica, il progetto cioè di una biblioteca universale dei classici aperta all’ingresso di nuovi testi, alla consultazione in sede. I contatti che egli avviò con l’amico Benintendi de’ Ravagnani, cancelliere della Repubblica di Venezia al servizio del doge Andrea Dandolo, per la costituzione di una «magnam et famosam bibliothecam» (cfr. E. H. Wilkins, Vita del Petrarca, cit., p. 240-41) che trovi la sede «in loco aliquo ad hoc deputando», testimonia una volontà tutta moderna di allargare il campo degli studi. Dopo il suo trasferimento a Padova i libri passarono ai Carrara, inglobati in una tradizionale biblioteca signorile e venendo meno all’originario progetto, ma inaugurando quello che sarà un atteggiamento e una moda dei grandi mecenati del Quattrocento. La biblioteca che Petrarca riuscí con gli anni a consolidare assume dunque un significato letterario, oltre che materiale: in molti casi il copista di questi codici era egli stesso, annotando a margine glosse, osservazioni personali e commenti. La cultura è per il Petrarca un’entità parcellizzata, frazionata in infinite dimensioni particolari, esattamente l’opposto rispetto alla cultura medievale, di cui Dante era stato l’ultimo rappresentante, una civiltà in cui l’enciclopedismo rappresentava una lettura dell’universo, il segno della universalità della christianitas. In questo modo Petrarca interpreta un ruolo estremamente moderno nel rapportarsi alla cultura, secondo un atteggiamento laico, meno ascetico e piú tecnico rispetto al passato. La biblioteca era insomma una parte vitale della riflessione letteraria di Petrarca, veicolo assolutamente insostituibile per un colloquio segreto, interiore e individuale con i classici. Inoltre essa si incarica di restituire all’esterno l’immagine del grande letterato, distaccato dalla contingenza e dalla quotidianità e tutto assorto nella sua funzione principale di custode della sapienza classica: un atteggiamento piú volte riscontrabile nei testi petrarcheschi.