Petrarca e la poesia d'amore

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All’interno del Canzoniere la storia dominante è quella dell’amore del poeta per Laura, donna fittizia e insieme reale, senhal trobadorico e elemento indiscutibile della biografia petrarchesca [ Dizionario di metrica, retorica e stilistica ]. Le allusioni, i doppi sensi che il poeta riesce a creare utilizzando il nome della donna amata rimandano all’episodio mitologico di Apollo e Dafne narrato da Ovidio nelle Metamorfosi (I, 452-567): la ninfa Dafne, la cui verginità era stata consacrata a Artemide, è amata da Apollo, dio e protettore della poesia. Egli la insegue per possederla ma, prima di raggiungerla, Dafne viene trasformata in alloro, che da allora diviene la pianta sacra a Apollo, e quindi simbolo della poesia. Attraverso la tessitura di queste equivalenze (Dafne-Laura-laurum-laurea poetica) Petrarca si pone nella posizione dell’amante (Apollo) e al tempo stesso di custode e sacerdote della poesia. La ricerca della donna amata, irraggiungibile e oggetto del desiderio, corrisponde quindi alla ricerca della poesia, alla consolazione che l’attività letteraria è capace di generare nell’uomo. Da questo punto di vista il Canzoniere ripropone una tematica che è ben consolidata nella tradizione della lirica romanza e largamente divulgata dal De Amore di Andrea Cappellano: la celebrazione della donna. Il poeta immagina di avere incontrato Laura il giorno 6 aprile dell’anno 1327 e di essersene innamorato: egli volle addirittura attribuirle una presenza fisica, registrando nel codice Ambrosiano di Virgilio, il libro a lui piú caro, i particolari del loro incontro, avvenuto nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, e della morte, che la colse nella stessa città nello stesso giorno dello stesso mese del 1348, mentre il poeta si trovava a Verona. «Laurea, propriis virtutibus et meis longum celebrata carminibus, primum oculis meis apparuit sub primum adolescentie mee tempus, anno Domini m° IIIC XXVII die VI° mensis Aprilis in ecclesia sancte Clare auin. hora matutina; et in eadem civitate eodem mense Aprili eodem die sexto eadem hora prima, anno autem m° IIIC XLVIII° ab hac luce lux subtracta est, cum ego forte tunc Verone essem, heu! fati mei nescius». Oggetto e tematica dominante del libro è dunque il nome della donna, una parola poetica che racchiude e concentra su di sé tutta l’attenzione del poeta, le infinite variazioni che quel segno determina in modo artificioso. Gli stessi contemporanei e amici del poeta si accorsero dell’espediente, a partire da Boccaccio, che nel De vita et moribus Domini Francisci Petracchi scriveva: «Et quamvis in suis quampluribus vulgaribus poemabitus, in quibus perlucide decantavit, se Laurettam quandam ardentissime demonstrarit amasse, non obstat; nam, prout ipsemet et bene puto, Laurettam illam allegorice pro laurea corona quam postmodum est adeptus, accipiendam existimo» («E sebbene in numerose poesie volgari, splendidamente composte, abbia dichiarato di aver amato con grande passione una tal Lauretta, ciò non fa difficoltà per la mia affermazione, poiché, come per mio conto e giustamente suppongo, ritengo che quella Lauretta vada intesa allegoricamente per la corona d’alloro che poi ottenne»). Il sospetto della finzione non era evidentemente del solo Boccaccio. In risposta a una richiesta di Giacomo Colonna, Petrarca (Familiares, II, 9, 20) si affrettò a chiarire l’equivoco: «Quid ergo ais? finxisse me michi speciosum Lauree nomen, ut esset et de qua ego loquerer et propter quam de me multi loquerentur; re autem vera in animo meo Lauream nichil esse, nisi illam forte poeticam, ad quam aspirare me longum et indefessum studium testatur; de hac autem spirante Laurea, cuius forma captus videor, manufacta esse omnia, ficta carmina, simulata suspiria» («Che dici tu dunque? d’aver io inventato il bel nome di Laura, perché di lei potessi parlare e per lei molti parlassero; ma che nel fatto nessuna Laura mi sta nel cuore, se non forse quel lauro dei poeti, al quale è manifesto ch’io aspiro con lungo studio e indefesso; e di questa Laura viva, della quale io fingo d’esser preso, tutto è artefatto: finti i miei versi, simulati i sospiri»). Petrarca celebra la natura, i luoghi visitati da Laura, i gioielli e gli oggetti che le appartengono; opera un confronto tra Laura e alcune divinità mitologiche (Dafne, Venere); rievoca la passione dolorosa e angosciante che avviene nel momento in cui Laura non c’è. La seconda parte del Canzoniere si apre con la canzone I’ vo pensando, e nel penser m’assale: ora Petrarca racconta la fine dell’amore (Laura è morta), la memoria del tempo perduto, il rimpianto e il pentimento del poeta alla luce di molte sue responsabilità morali. Rime in vita e rime in morte di Laura: il libro si configura come una storia d’amore realmente raccontata e vissuta attraverso la presenza fisica della donna, rievocata per mezzo delle date dell’innamoramento, dei luoghi che Laura percorre, fino alla morte che getta il poeta nello sconforto, nel turbamento, ma anche in un processo di innalzamento spirituale e di pentimento. Nella tematica d’amore presente nelle rime petrarchesche ritornano molte componenti della lirica provenzale, ad esempio l’uso della sestina, le suggestioni provocate dalla musica (nel sonetto proemiale Petrarca parla esplicitamente di suono), il desiderio morboso della donna amata. Petrarca diluisce la memoria dei poeti trovatori con la dimensione borghese e moderna dello Stilnuovo, che già si stava ritagliando un pubblico esclusivo e riservato di lettori: le aspirazioni del poeta sono ora ben maggiori rispetto alle raccolte non organiche dei rimatori stilnovisti (con l’eccezione di Dante). Il Canzoniere è prima di tutto un insieme di menta: sopravvive nella dimensione del macrotesto in quanto liber (libro) e struttura articolata di testi poetici, e nello stesso tempo di microtesto, cioè di singoli componimenti indipendenti fruibili singolarmente. Tuttavia nel Canzoniere c’è una visibile unità tematica che è data dalla ricerca di una pietas estesa a tutta la vita: un sentimento morale che lotta disperatamente contro la labilità del tempo per riaffermare il presente, per uscire dal dilemma amore-gloria letteraria. Le microstorie del Canzoniere rappresentano la volontà di esplorare la propria coscienza di amante, di poeta, di individuo morale, escono pertanto dalla loro dimensione di sfogo personale per guadagnare un respiro universale eppure umano, immanente.