Chierici e laici
Nell’arco di tempo che va dal VI al X secolo il patrimonio della cultura scritta e le attività legate al sapere rimasero circoscritte a un limitato numero di utenti: si può parlare di veri e propri specialisti della cultura, generalmente individuabili nell’ambiente ecclesiastico. Il termine chierico (in latino clericus) indicò indifferentemente sia l’uomo di Chiesa, adibito alle funzioni liturgiche, alla predicazione e ai compiti pastorali, sia l’intellettuale, la cui formazione avvenne sempre all’interno delle strutture della Chiesa (scuole episcopali, monasteri, abbazie).
L’intellettuale-ecclesiastico legge e scrive in latino, conosce le Sacre Scritture e le interpreta, occupa un posto di rilievo nelle gerarchie sociali del Medioevo: è, in sostanza, un uomo di potere, e per questa ragione il suo servizio diviene fondamentale anche nelle curiae (cancellerie), dove si amministrano e si gestiscono la politica e l’economia. L’intreccio tra potere ecclesiastico e potere laico costituisce pertanto una delle prerogative fondamentali del clericus: da questo stretto legame si origina anche una visione della politica fortemente influenzata dalle concezioni religiose.
Diversa è invece la sua funzione nel monastero, dove può ricoprire incarichi di varia natura: è adibito alla ricopiatura dei testi, al loro commento e traduzione; in occasioni particolari – ma siamo allora in presenza di personalità di livello piú complesso, egli si comporta come un vero auctor –, sviluppando le proprie idee ma attenendosi al pensiero di altre auctoritates.
In tutta l’età alto-medievale gli scrittori non possiedono una rilevante considerazione del proprio ruolo sociale e della propria importanza culturale: gli auctores, in quanto dotati di auctoritas, di autorevolezza intellettuale, sono soltanto gli scrittori e i filosofi dell’antichità. Anche la distinzione tra opera originale e volgarizzamento è assai labile, con la conseguenza che il traduttore può assumersi facilmente la paternità di un’opera letteraria.
I primi testi letterari italiani provengono quasi tutti dal mondo giullaresco: il Ritmo Laurenziano, il Ritmo Cassinese, il Ritmo di Sant’Alessio sono collocati tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo in un ambito sociale vicino al mondo ecclesiastico. Tuttavia i giullari (ioculatores in latino, jongleurs in francese) subiscono l’opposizione del clericus a causa della loro instabilità sociale e mobilità in seno al sistema politico cortese. Mentre i chierici sono figure facilmente controllabili e bene inserite nelle strutture religiose dell’epoca, i giullari agiscono in uno spazio anti-istituzionale e della sottrazione alle regole del sistema. I titoli negativi con cui essi vengono etichettati (histriones, scurrae) mettono in risalto la componente di dissacrazione che è implicita alla loro funzione: il giullare adopera un linguaggio licenzioso e osceno; è piuttosto un esecutore che un produttore; si affida prevalentemente alla trasmissione orale e all’improvvisazione.
Una cultura laica di grande prestigio si afferma, soprattutto in Francia e in Italia, soltanto dopo il secolo XI, grazie alla struttura politica della corte e al sistema comunale. I giullari e i trovatori provenzali, i poeti siciliani alla corte di Federico II, i rimatori del Duecento italiano prediligono la lingua volgare; promuovono un impegno civile e morale della letteratura; stabiliscono con il potere politico un rapporto di collaborazione basato sulle capacità tecnico-giuridiche della loro formazione; rifiutano il semplice ruolo di “esecutori” per assumere quello di “produttori” dell’opera d’arte; concepiscono la poesia e il sapere come una condizione professionale.