Percorsi in giallo
Leggere un romanzo giallo richiede grande attenzione: se sfugge un particolare si rischia di pregiudicare la comprensione dell’intreccio. Il dettaglio è una cifra sostanziale della letteratura poliziesca e spesso l’assassino viene smascherato proprio a causa di un particolare che a una lettura superficiale può sfuggire anche al lettore più smaliziato. Come in una partita a scacchi in cui il colpevole è il re da catturare, anche nella narrativa poliziesca le mosse e le contromosse dello scrittore vanno a comporre una fitta trama di pezzi e di eventi che si muovono su quella scacchiera fatale che è la scena del delitto e che si sciolgono in modo drammatico nel finale di partita, quando si arriva alla soluzione del caso.
Il genere poliziesco costituisce un ottimo punto di partenza per avviare alla lettura; uno strumento, dunque, che tuttavia si è largamente emancipato dallo stereotipo di "letteratura di consumo": la prosa scorrevole e avvincente; l’atmosfera carica di suspence; la curiosità solleticata dalla ricerca dell’assassino sono tutti ingredienti che predispongono facilmente ad un primo approccio con il romanzo e con le pratiche dell’intreccio. A lungo considerato un genere minore rispetto ai parenti più illustri della narrativa dell’Otto-Novecento, il giallo conta tuttavia numerosi “classici”, da Edgar Allan Poe a Ernst T. A. Hoffmann, da Conan Doyle ad Agatha Christie a Georges Simenon. Quando nasce - a metà dell’Ottocento - il poliziesco non è affatto un genere di massa o di consumo: lo diviene successivamente, con Conan Doyle ad esempio, e negli stessi anni in cui Jules Verne inventa la fantascienza. Il suo successo coincide con il trionfo del razionalismo positivista e con l’affermazione della società borghese; la sua ricetta si fonda sul metodo scientifico dell’investigazione, sul valore dell’intelligenza rispetto alla violenza e alla forza; il suo messaggio è consolatorio perché il male viene sconfitto e accompagnato in prigione.
Come si scrive un giallo? E soprattutto, quali sono le peculiarità di quello che è stato chiamato il “noir italiano”? Il giallo in salsa nostrana è diventato in pochi anni uno dei settori di punta di un certo tipo di best seller, cioè di quella letteratura che popola gli scaffali delle librerie e delle edicole con tirature ragguardevoli, successo di vendite, trasposizioni televisive e cinematografiche. È solo un fenomeno di mercato? Evidentemente no. Quando si parla di noir italiano – scrive Giancarlo De Cataldo, uno degli autori di successo di questo genere – si parla “di un gruppo di autori che, attraverso il ricorso a luoghi e parametri di un genere da noi largamente minoritario, se non addirittura sporadico, in pochi anni hanno ideato e imposto un modo decisamente originale di raccontare i miti, i riti, gli splendori (pochi) e le miserie (molte) della contemporaneità” (AA.VV., Crimini, a cura di G. De Cataldo, Torino, Einaudi, 2005, p. V). De Cataldo ha poi messo in fila tre grandi temi che intrecciano la produzione noir degli scrittori italiani: si tratta di aspetti e contenuti che rappresentano un significativo elemento di discussione anche in classe, con evidenti sviluppi in varie direzioni.
Il primo di questi temi è quella della corruzione patrimoniale “intesa come ansia del guadagno facile”, e di quella morale “intessuta della perdita del senso del limite, dell’annullamento di ogni tensione etica”.
Il secondo aspetto riguarda il “tema dello straniero” nelle diverse condizioni sociali di emarginati e malavitosi, di vittime e di colpevoli.
Il terzo punto “concerne l’ossessione del successo. Il successo individuale da raggiungere a qualunque costo, corollario della corruzione morale e dell’indifferenza alle conseguenze delle proprie azioni. Ma anche, più in dettaglio, il successo come fama, celebrità, approdo ai piani nobili della società dello spettacolo”.